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REDC48 (1991) 517-544
LE CHIESE SUIIURIS NEL CODEX CANONUM ECCLESIARUM ORIENTALIUM
lNTRODUZIONE
Le comunità orientali cattoliche sono oggi indicate con Ia locuzione «chiese orientali», e questo è un fatto ormai abbastanza corrente, confortato da vari documenti di promulgazione pontificia, oltre a queUi conciliari. Per limitarmi a questi ultimi decenni, ricorderò il titolo dei canoni promulgati da Pio XII, «De Religiosis, de bonis Ecclesiae temporalibus, de verborum significatione pro Ecclesiis Orientalibus», con m.p. «Postquam Apostolicis Litteris» del 9 febbraio 1952, e «De Ritibus Orientalibus, de Personis, pro Ecclesiis Orientalibus», con m.p. «Cleri Sanctitati» del 2 giugno 1957. Il Vaticano II ha usato questa locuzione nel titolo di un decreto conciliare, «de Ecclesiis Orientalibus catholicis», che inizia con Ie parole «Orientalium Ecclesiarum»; successivamente Paolo VI impartì «episcopis Ecclesiarum Orientalium», con lettera apostolica «Episcopalis Potestatis» del 2 maggio 1967, alcune norme «ad facultatem dispensandi spectantes» e poi, il 15 agosto di queUo stesso anno 1967, con Ia costituzione apostolica «Regimini Ecclesiae Universae», mutò in «Congregatio pro Ecclesiis Orientalibus» il nome del dicastero eretto da Benedetto XV come congregazione «pro Ecclesia Orientali». Giungiamo così a Giovanni Paolo II, cui dobbiamo Ia promulgazione del «Codex Canonum Ecclesiarum Orientalium» (CCEO), con Ia costituzione apostolica «Sacri Canones» del 18 ottobre 1990. Il presente studio si propone di esaminare Ia presentazione di queste chiese nel Vaticano II (1), quanto di esse dicono Ie recenti codificazioni, queUa latina e poi quella orientale (2), ed infine l'àmbito della loro autonomia sul piano legislativo (3).
1. «CHIESE LOCALI» E «CHIESE PARTICOLARI» NEL VATICANO II
Il Vaticano II ha fatto più volte riferimento alle chiese orientali o ai loro organi di governo, ma io mi soffermerò sui due documenti che ne trattano
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