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In nome dei valori e della verità: il coraggio delle mulieres pagane e cristiane di fronte alla violenza
Roberta Franchi Università degli Studi di Firenze
All’interno della struttura sociale antica la donna ha sempre occupato un ruolo subordinato rispetto a quello dell’uomo e, condannata a una condizione di minorità civile e psicologica, è rimasta per lungo tempo confinata entro le mura domestiche, nonché esclusa dall’universo maschile. Fino all’avvento dello stoicismo, è stata considerata un essere debole, da paragonare agli schiavi o addirittura agli animali e ritenuta unicamente portatrice di sventure1; basti pensare al quadro delineato da Esiodo nella Teogonia e nelle Opere e i Giorni. Il poeta di Ascra, allorché tratta della donna, se da un lato l’accetta perché è un male simile al lavoro, pur sempre utile alla procreazione, dall’altro lato la legittima meno volentieri, poiché, mentre l’attività lavorativa produce, ella consuma2; la stessa
1 Cfr. E. Cantarella, L’ambiguo malanno. La donna nell’antichità greca e romana, Roma 1981; R. Uglione (a cura di), Atti del Convegno nazionale di studi su La donna nel mondo antico, Torino 21-22-23 Aprile 1986, Torino 1987; R. Uglione (a cura di), Atti del II Convegno nazionale di studi su La donna nel mondo antico, Torino 18-19-20 Aprile 1988, Torino 1989; G. Duby-M. Perrot (a cura di), Storia delle donne in Occidente, 1, L’Antichità, a cura di P. Schmitt Pantel, Roma-Bari 20004. 2 Cfr. Hes., Th. 590 ss.
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